Due domeniche fa la mia anziana madre, terminato il pranzo, dichiara solennemente: «Da domani, dieta!». Niente di nuovo, è il modo in cui avvia il processo digestivo. Questa volta, seguendo una misteriosa catena di pensieri (forse non così misteriosa se consideriamo la dozzina di polpette appena ingerita), aggiunge mestamente: «Il fritto fa male». Dichiarazioni che mi sorprendono quanto un borborigmo dopo uno stufato d’agnello. Infatti pochi giorni dopo, il giovedì, la stessa donna dice: «Ho fatto i turtlitt».
I turtlitt, tipici dolci carnevaleschi qui della zona di San Paco Llorente (e forse di tutta Italia, non lo so), sono dei tortelloni dolci fritti ripieni di mostarda, cacao, amaretti, marmellata di prugne, marmellata di castagne, rum e poi ricoperti di zucchero a velo (perché sembrava mancasse qualcosa, immagino). Buoni. Molto buoni. Forse troppo.
«Quanti ne fai?» chiedo. Uno pensa, ma sì, che domande, quanti potrà mai farne? Sono in due, poi conta qualche parente, qualche amica, qualche vicino, non so, trenta?
«Trecento» risponde lei.
Di fronte alla mia perplessità, aggiunge che ne regalerà la maggior parte, «quasi tutti, in pratica», borbotta.
Per ogni persona che riceverà i turtlitt, l’anziana madre prepara una vaschetta con scritto il nome, quindi le innumerevoli vaschette attendono in bella mostra sul tavolo della sala i fortunati destinatari. Poco dopo, comincia una timida ma inarrestabile processione di gente di ogni risma che arriva, intasca ossequiosamente la propria vaschetta e, dopo due convenevoli («Ti trovo bene» dicono sorridendo a mia madre, la quale durante la produzione dei turtlitt è al punto più basso della sua presentabilità: in tuta, coperta di farina e zucchero a velo, i capelli fritti e in disordine, un vago odore di rum che potrebbe farla passare per un’alcolizzata), si dilegua.
«Basta, finiti» dichiara l’anziana madre il sabato pomeriggio passando all'anziano padre l'ultimo turtlitt. Ma la domenica, dopo il consueto pranzo con il consueto figlio, ecco insieme al caffè spuntare ancora turtlitt, uno per l'anziana madre, due per l'anziano padre (che deve farsi grande), zero per il figlio che, per dare il buon esempio, di turtlitt e di dolci in genere non si abbuffa. Misura, ci vuole; equilibrio, ci vuole. Questo l'insegnamento del figlio per gli anziani genitori. Per tutta risposta, ecco sbucare altri due ultimi turtlitt.
L'anziana madre sa che non può dire «Da domani, dieta!» perché questa volta le arriverebbe una testata. L'anziano padre, dal canto suo, non ci pensa proprio alla dieta: lui tutto quello che gli metti davanti lo aspira.
«Quanti turtlitt avete ancora?» chiedo.
«Finiti,» dice l'anziana madre, «questi sono gli ultimi» dice distribuendo altri due turtlitt all'anziano padre e uno a sé stessa.
«Mm» dico, poco convinto, ma a quel punto li saluto. Esco, salgo in macchina, mi accorgo di aver dimenticato il telefono, torno indietro, apro la porta e li sorprendo mentre si pappano altri due turtlitt, uno a testa.
«Gli ultimi, suppongo» dico.
«Ultimissimi» dice l'anziana madre con la bocca piena, mentre l'anziano padre, che secondo la convenienza del momento finge di essere sordo, muto, cieco, rimbambito o un cactus, pretende di non sapere di cosa parliamo, ma quando c’è del cibo in giro è più acuto e svelto di un falco pellegrino.
«Va be'» dico. Esco di nuovo, salgo di nuovo in macchina e tuttavia, per curiosità, provo a tornare ancora, a sorpresa. Apro la porta di scatto e becco l'anziana madre che taglia una crostata.
«E quella?!» dico, sconcertato.
«No, guarda, solo una semplice crostata con il ripieno avanzato dei turtlitt, mica potevo buttarlo» si difende lei.
A quel punto realizzo che i due anziani genitori mi stanno prendendo per il culo. Decido allora di passare all'azione: sollevo l'anziano padre per le braccia e gli do una bella scrollata: una decina di turtlitt cade da sotto il pullover; frugo con il flash del cellulare nella permanente dell’anziana madre: scovo nove turtlitt; sollevo il gatto Bigio: un turtlitt; squarcio il sellino della cyclette: cinque turtlitt; avvio il tapis roulant: sul nastro compaiono, tipo kaiten-zushi, dodici turtlitt.
Nel momento in cui comincio a pensare a come regolare la faccenda, mi sovviene improvviso un flashback: ho undici anni, fumo di nascosto, mi beccano. Mia madre ha una crisi isterica, «Hai solo undici anni!» grida. Mio padre le dà manforte e dice: «Collegio!». Mia madre: «Picchiamolo!». Mio padre: «A lavorare!». Mia madre: «Se tuo figlio ti ferisce, taglialo!». Mio padre: «Quando si cena?!». Mia madre: «Dio, prendici adesso!». Mio padre: «Soltanto loro!». Poi, silenzio. I genitori si ritirano per decidere il da farsi e, poco dopo, la futura anziana madre torna con una delle sue proverbiali furberie: «Figliolo,» dice simulando amorevolezza, «hai per caso altre sigarette nascoste da qualche parte?». Io: «No, giovane madre, possa il tuo Dio fulminarmi all'istante se sto mentendo». Lei: «Figliolo, ascolta bene, se confessi non verrai punito. Riflettici». Così mi ritiro per discutere il da farsi con i miei peluche. Quando torno, dico: «Accettiamo». Quindi: «Ebbene sì, ne ho ancora una qual certa imprecisata quantità». Lei, secca: «Quante?». Io, fingendo di doverlo rammentare: «Mm, cinque?». Lei fa roteare gli occhi, sospira: «E dove sono queste cinque sigarette?». Guardo Talpy Talpon, tenente colonnello delle forze peluchate. Talpy Talpon si sistema la cuffia da notte, scuote la testa per indurmi al silenzio. Lo guardo come a dire: “Mi dispiace, Talpy, è finita”. Poi, alla giovane madre: «Veramente sarebbero cinque pacchetti, giovanissima e, mi permetto di notare en passant, bellissima madre: le scorte per l'inverno, come può certamente comprendere data la sua abbacinante intelligenza». La giovane madre non comprende e anzi rivela la trappola, l’accordo era un inganno, le sigarette vengono sequestrate e la punizione arriva implacabile: tre mesi senza uscire. «Compresa la scuola?» chiedo. «No» mi rispondono. Fine del flashback.
E adesso i ruoli sono finalmente invertiti: i giovani genitori sono anziani, deboli, braccati a ogni ora e in ogni luogo dal figlio troppo scaltro, troppo veloce, troppo tattico, mimetico e vendicativo per pensare di batterlo.
«Quanti turtlitt avete?» chiedo. E aggiungo con un sorriso calmo e benevolo: «Se me lo dite, non vi punisco». La punizione, va da sé, consisterebbe nel privarli della mia piacevolissima compagnia al pranzo domenicale e dell’assistenza tecnologica, oppure potrei cominciare a drogarmi, o togliermi la vita. L'anziana madre china il capo. L'anziano padre le dice: «Non farlo». Lei gli dice: «È finita». Poi, rivolta a me: «Ne abbiamo ancora una bacinella». Io: «Siete degli incoscienti». Loro: «Lo sappiamo, ci scusiamo e offriamo questo turtlitt» - dice sfilando un turtlitt dalla manica - «come segno di contrizione o, eventualmente, tentativo di corruzione».
Io, requisendo il turtlitt: «Portatemi la bacinella».
«Vai,» dice l'anziana madre all'anziano padre, «la combinazione è 44329». L'anziano padre obbedisce, scompare e poi ricompare in una nuvola di zucchero a velo reggendo una bacinella da bucato ricolma di turtlitt. Confisco la bacinella, faccio per andarmene. «Vergognatevi» dico sulla porta, prima di uscire. «Con il colesterolo che avete. La pressione che avete. Le coronarie che avete».
«Veramente io ho i battiti a 34» dice con orgoglio l’anziano padre, che però prende apposite pastiglie per avere le pulsazioni di un chirottero.
«Zitto» gli dice l’anziana madre, che poi chiede: «Potresti lasciarcene uno a testa? Come ricordo. Non li mangiamo».
«E va bene» dico, e poso sul tavolo due turtlitt che vengono inghiottiti all'istante, catturati a mo' di lingua di camaleonte. Scuoto la testa, poi esco, salgo in macchina e, questa volta sì, schiodo.
Mentre guido verso casa, mi dico: «Che poi, siamo onesti, cosa le impedirebbe di farsi altri cinquecento turtlitt oggi stesso?».
«Niente» dice Talpy Talpon, seduto sul sedile del passeggero, mentre si accende una Marlboro.
«Ne vuoi una?» mi fa.
«No, Talpy, e neanche tu dovresti: ti fa male, sei sintetico».
Talpy Talpon soffia una nuvola di fumo, accende la radio, prende un turtlitt dalla bacinella.
«È già il sesto» gli dico.
«Lo so, lo so…» dice lui, «ma questo è l’ultimo, giuro».
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Sono in lacrime.
Lacrime un po’ amare, perché rido e... perché ti invidio.
Invidio come scrivi, il tuo non-politically correct, è comunque petaloso (anche se in questo scritto, a dire il vero, non l’ho trovato).
Invidio come mangi.
Adoro mangiare. Mangiare bene.
Potrei morire questa sera e, esalando un ultimo sospiro, direi: "datemi l'ultimo Turtliiiit" (sbagliandone probabilmente la pronuncia).
Visito i miei genitori una volta a settimana, di domenica. L'orario è sempre sadicamente concordato all'ora di pranzo. Quando inchiodo davanti al loro cancello, la mia macchina risuona di tubi di Pringles comprati all'Autogrill e ingozzati senza dignità mentre guido verso di loro.
Mia mamma è diventata vegana. Sì. Vegana. Finiti quei bei pranzetti della domenica. Game Over.
Ovviamente, chiunque si sieda alla loro tavola diventa vegano.
Col tempo ho imparato a non fare domande sulle pietanze che mi vengono amorevolmente servite. Rimango impassibile anche a termini tipo "parmigiano vegano". I vegani sono maestri degli ossimori, ma non sarò certo io a farglielo notare.
Mio padre è diabetico. O così ha deciso la sua sposa (non lo saprò mai).
Quindi, a tavola, siamo tutti vegani e diabetici.
Settimana scorsa, mentre signora Anziana Madre si faceva beffa di picchi glicemici e trigliceridi, ha preparato delle meringhe. MERINGHE? ho esclamato, mentre mi ripetevo in testa nondirealtronondirealtronondirealtro.
"Ha usato l'eritritolo!" interviene, salvifico, mio padre, con entusiasmo altrettanto finto.
"Oh!" dico annuendo, mentre ne sollevo una con la punta di due dita e la osservo da vicino. Una "meringa" dall'aspetto e peso specifico assolutamente insospettabili.
"Eritritolo e spuma poliuretanica... vegetale!"
Quando il mio povero padre mi ha riaccompagnato alla macchina, gli ho passato dal finestrino un mazzo di tubi di Pringles.
"Vanno nell'indifferenziato. Ah! In uno ne ho lasciate metà. Tranquillo, sono vegane."
Ormai Spiccioli è la punta di diamante del realismo magico postcontemporaneo!